Il 'lodo Toscano', storia di un credito nascosto da 630 mila euro


di Nicola Stiaffini

Capita, talvolta, di riuscire a cambiare le cose. Capita raramente, ma capita. Questa è la storia di una di quelle volte.

Incontro il signor R. in un calda mattinata di giugno. E' simpatico, pieno di energia, combattivo e determinato a salvare la sua azienda. Un'azienda storica del tessile fondata oltre 70 anni prima dal padre, fiorente per molti anni e che ha dato un lavoro sicuro a due generazioni del fiorentino.

In soli quattro anni di crisi, però, tutto era cambiato: azzeramento del credito bancario, richiesta di rientri e quindi l'impossibilità di far fronte agli ordini ricevuti e che continuava a ricevere. Non mancava il lavoro, è mancato il necessario credito per l'acquisto delle materie prime. Un paradosso da far impazzire qualunque imprenditore.

Il Sig. R. mi parla delle banche, delle centinaia di migliaia di euro pagati ogni anno per mantenere quei fidi. Ha sentito parlare di 'usura', di 'anatocismo' e di 'rivalse' e vuole recuperare le somme ingiuste pagate. Vuole evitare il fallimento e magari riattivare la sua azienda, l'azienda di suo padre. Nelle settimane successive, nei vari incontri, chiedo ed ottengo informazioni, documenti, precisazioni e faccio sviluppare i conteggi del caso: usura, anatocismo, cms, giorni valuta, csa ... insomma tutto il repertorio. Trovo materiale sufficiente ad istruire almeno cinque cause, in tutto individuo circa 300 mila euro da recuperare. Non male, mi dico. Mi sbagliavo, perchè erano pochi purtroppo, troppo pochi per evitare l'inevitabile.

Mi incontro con il Sig. R., gli riferisco le mie conclusioni. Decidiamo di intraprendere comunque quelle cause e lui, intanto, avrebbe cercato altri finanziamenti. Lo dice con quella ingenua fiducia che non ho il coraggio di tradire, ma con la triste certezza che non li avrebbe comunque trovati. Ma in fondo sperare non costa niente e, alla fine, di questi tempi tutto cambia così velocemente che anche l'impossibile talvolta si avvera. Proprio durante questo incontro, quando ormai si stava volgendo ai saluti, gli chiedo: 'Mai avuto un leasing?'; e lui : 'Sì, sì, ma lì tutto a posto. Ho restituito il capannone e mi hanno anche abbonato interessi per 60 mila euro. Tutto a posto'.

Strano, penso. Sarebbe la prima volta che in tanti anni vedo una banca 'abbonare' davvero qualcosa. Decido di approfondire, mi faccio dare i contratti, le contabili, la corrispondenza. Era un leasing immobiliare di circa 3,5 milioni di euro. Il Sig. R. aveva completato la costruzione di un capannone, vi aveva fatto degli uffici bellissimi, tutto nuovo e funzionale. Due anni di lavori con un costo finale di oltre 4,5 milioni di euro. La differenza, manco a dirlo, l'aveva messa lui e la sua famiglia. Così succede nelle vere imprese, la famiglia è a disposizione dell'azienda e non il contrario.

Più leggo le carte, più i numeri non mi tornano. Più leggo le clausole, più non le capisco. Un po' come se più mangi e più hai fame, più studiavo e più mi convincevo che su quel leasing non era, per niente, 'tutto a posto'. Spiego a R. la mia visione di quella vicenda, di quel contratto, di quelle centinaia di migliaia di euro pagati e che, secondo me, devono essere restituite per una somma tra 500 mila e 700 mila di euro. R. poteva ridermi in faccia, salutarmi e cercare uno più sano di mente. Oppure poteva credermi, darmi ancora fiducia e diventare quel 'Davide' contro quel 'Golia', ed io la sua fionda.

Il vero imprenditore si riconosce dalla velocità delle sue decisioni, dalla convinzione delle proprie scelte, dalla luce negli occhi quando ascolta parole e vede strade nuove per la propria azienda.

Fu così che, senza farmi finire di esporre la mia tesi, le mie conclusioni e la mia strategia processuale, il Sig. R. disse 'Facciamolo, lo faccia avvocato. Subito'.

Introduco immediatamente la contestazione alla banca, nessuna risposta. Deposito un ricorso a cognizione sommaria, eccepiscono la clausola arbitrale. Hanno ragione, lo sapevamo ma volevamo discuterne in Tribunale per evitare la difficoltà di trovare arbitri preparati e forti anche davanti a 'giganti'.

Inizio così l'arbitrato e, non senza difficoltà, viene nominato un collegio di alto profilo e certa preparazione. Mi trovo a contraddire con una 'law-firm' di primo piano. Si presentano due soci (di quelli con il 'nome in ditta') sempre in coppia, manifestano fermezza, sicurezza, ridicolizzano le mie tesi. Parlano, fuori udienza, con tutti noi di altre loro cause 'importantissime' e dei loro innumerevoli successi e, quindi, delle altrettanto innumerevoli cause infondate che il loro cliente subisce ingiustamente.

Sicuri, perfetti, autorevoli, convinti di loro e delle loro parole e sempre in coppia.

Chiedo loro come mai, se le mie tesi sono ridicole e loro hanno altri importantissimi casi da seguire, si scomodano addirittura in due. Nessuna risposta.

Inizia la causa, memorie su memorie, conti su conti, documenti su documenti, parole su parole. Ciò che era semplice diventa complicatissimo e ciò che era complicato resta tale.

Si seguono le udienze, invoco velocità perchè altrimenti sarebbe tutto inutile.

Nel frattempo, infatti, all'azienda era stata notificata un'istanza di fallimento. Il Giudice fallimentare aveva ha rinviato due volte la decisione in attesa dell'arbitrato che, ormai, rappresentava l'unica possibilità di evitare il fallimento. Le altre cause con le banche, per quanto vinte, non erano bastate come previsto.

Viene fissata un'udienza decisiva il 22 dicembre alle 15. Lo stesso giorno della recita di Natale di mio figlio, la prima recita del primo ed unico figlio, fissata alle 17. Mi dico che ce la farò ad esserci: vado, discuto e torno a 100 km di distanza. So già che non sarà così, e così non è stato infatti, ma quella quell'ingenua fiducia del Sig. R. ormai ha contagiato anche me.

Udienza fatta, memorie e repliche conclusionali fatte. Ormai non resta che attendere e l'attesa, si sa, è il momento più difficile.

Quando iniziai questa Professione, il mio maestro mi disse che avevo bisogno di cinque cose: '1° pazienza; 2° pazienza; 3° pazienza; 4° pazienza; 5° pazienza'. Aveva ragione, ma mai come in quel caso era difficile attendere. Il Giudice fallimentare aveva concesso l'ultimo rinvio, inderogabile. Il Sig. R. stentava, comprensibilmente, a capire perchè occorressero tutte quelle udienze, memorie, documenti. In fondo la cosa, per come l'aveva capita lui e l'aveva capita bene, era chiara.

Scrivo ingenui solleciti, invoco la scadenza fallimentare ma, si sa, certi tempi non possono essere accelerati. Però, anche le attese più lunghe finiscono.

E' in un mattina di settembre che mi arriva la comunicazione. Vedo la pec del Presidente del collegio, apro l'allegato nominato 'lodo', scorro subito fino all'ultima pagina, poi leggerò le motivazioni, ora mi interessa solo di sapere l'esito. L'ultima pagina, però, è illeggibile o non si apre, non so. Forse è il mio pc, forse internet, forse uno scherzo del destino. Comincio a colpire il monitor, come fosse un jukebox degli anni '70, e quello ovviamente si spegne. Panico, anzi no, si è solo staccata la spina del monitor. Respiro, la riattaco aspetto quei 5 secondi necessari all'allegato per caricarsi e leggo. Leggo 'condanna XXX al pagamento a favore di YYY della somma di euro 632.000,00', il tutto oltre interessi e spese.

Poche parole che valgono una vita e un'azienda, quelle del Sig. R. e, un po', anche la mia ormai. A conti fatti, tra capitale, interessi e spese, quella banca che rideva di noi, quella che non rispondeva alle contestazioni, ai fax, alle emails era condannata a pagare oltre 800 mila euro. 'Davide' aveva vinto, la sua 'fionda' aveva colpito ed atterrato 'Golia'.

Il fallimento è stato evitato ed i creditori del Sig. R. saldati.

Ecco, questa volta le cose sono davvero cambiate.

Nicola Stiaffini

Livorno, giugno 2018

(riproduzione riservata)

scarica il 'Lodo Toscano': https://drive.google.com/file/d/1W3K8dE-NaS_eE3cP-OFeuKZXgzHiN0cU/view?usp=sharing


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